È una scoperta insolita, disponibile da qualche anno su YouTube: nel 1965, i registi Luc Ferrari e Gérard Patris, insieme al compositore e ingegnere Pierre Schaeffer, incontrarono Olivier Messiaen per documentare la genesi della sua opera orchestrale Et exspecto resurrectionem mortuorum, composta un anno prima.

Il loro documentario, realizzato dal Groupe de Recherches Musicales de la Radio-Télévision Française (RTF) diretto da Schaeffer, fa parte della serie Les Grandes Répétitions, un programma ormai considerato “cult” dagli amanti della musica contemporanea, che è tornato accessibile grazie al restauro realizzato dall’INA, l’Istituto Nazionale Audiovisivo Francese. I crediti notano: “Queste immagini sono state filmate durante la prova generale e ripercorrono il lavoro di messa a punto della performance musicale.”

Messiaen e Schaeffer si conoscevano dal 1936, ai tempi del gruppo di musicisti ‘La giovane Francia’ (Jeune France); infatti, a partire dagli anni ’50, Messiaen partecipava regolarmente al suo programma radiofonico Studio du club d’essai, una piattaforma per la ‘musica concreta’ (musique concrète), il movimento di musica sperimentale contemporanea creato da Schaeffer.

Nel 1963, André Malraux, allora Ministro degli Affari culturali (1959-1969) e Ministro di Stato, molto vicino al Presidente della Repubblica Francese, Charles de Gaulle, cercava un’opera musicale per commemorare ufficialmente i morti delle due guerre mondiali. Nel 1964, si avvicinò a Messiaen: Ex exspecto sarebbe stata la seconda commissione del governo francese dopo i Sept haïkaï opera creata qualche anno prima, una composizione che lo avrebbe reso famoso presso il pubblico francese.

Malraux gli chiese un’opera “semplice, solenne e molto forte” da eseguire o a Notre Dame de Paris, alla Sainte-Chapelle o alla Cattedrale di Chartres, per il 50° anniversario della Grande Guerra nel 1964. Il compositore pensò prima a una forma relativamente convenzionale tale un requiem, ma poi decise di scrivere un’opera per orchestra con legni, ottoni e percussioni.

Messiaen approfittò del suo abituale soggiorno estivo nella sua casa di vacanze di Saint-Théoffrey, vicino al lago Petichet, nel Delfinato (Isère) al sud di Grenoble, per dedicarsi alla composizione del Ex exspecto. Da sempre profondamente ispirato dalla natura, aveva ripreso l’abitudine di fare lunghe passeggiate sulle montagne vicine, accompagnato da Yvonne Loriod: le loro escursioni domenicali nell’agosto 1964 li portarono al villaggio di La Grave, al suo spettacolare ghiacciaio, La Meije, e al Mont Thabor (Hautes Alpes).

Invece della commemorazione nazionale del centenario della Grande Guerra, idea nel frattempo abbandonata da Malraux, le due rappresentazioni ufficiali dell’Ex exspecto ebbero luogo, la prima nella Sainte-Chapelle di Parigi, alla vigilia delle commemorazioni dell’8 maggio 1965, in privato ma trasmessa alla radio, e la seconda “il 20 giugno del1965, nella cattedrale di Chartres alla presenza del generale de Gaulle”, come indicano i titoli di coda del documentario.

In una lettera a Malraux nel 1964, il compositore scrisse che la “nobiltà del soggetto richiede un’orchestrazione potente e maestosa, adatta a una cattedrale ma anche all’aria aperta”. Questo non senza ricordare che i due temi fondamentali della sua creazione sono la natura e la sua fede cattolica.

Nel documentario Messiaen commenta: “Siccome ho la fortuna di essere cattolico e di essere credente, di essere cristiano e di non credere [né] tanto alla morte né alla guerra, ebbene ho visto la cosa da una prospettiva più alta e ho fatto un’opera sulla resurrezione dei morti che è divisa in cinque pezzi, ognuno di questi pezzi commenta un testo della Sacra Scrittura che ha a che fare con la resurrezione dei morti e la vita dei corpi gloriosi che seguiranno questa resurrezione. “

Il film inizia con l’impressionante inquadratura della facciata della cattedrale di Chartres dal basso, accompagnata dalle monumentali note di apertura dell’Ex exspecto. La telecamera si avvicina lentamente al timpano del portale centrale, sotto il quale si vede solo il nero profondo delle porte aperte. La particolare prospettiva dell’inquadratura dal basso mette in evidenza l’austerità e la severità di questa opprimente architettura religiosa e costringe l’attenzione dello spettatore verso il dominio del sacro.

A prima vista è sorprendente che Gérard Patris, il regista del documentario, abbia scelto di filmare esclusivamente in bianco e nero, data l’importanza dei colori per Olivier Messiaen. Secondo lui, i suoni musicali danno origine a colori concreti. Profondamente impressionato dalla prima rappresentazione nella Sainte-Chapelle, disse che l’effetto della luce colorata prodotta dalle sue si sposava perfettamente con i suoni dell’Ex exspecto.

Messiaen spiega che il tema musicale è ripetuto da “complessi di suoni che sono suonati da sei corni e ogni nota del tema è dotata di un nuovo complesso di suoni come un nuovo colore”. Continua dicendo che “questo sarà costante per tutta l’opera e va abbastanza bene con il principio della vetrata visto che siamo in una cattedrale”. Aggiunge che la musica “consiste nel colorare i personaggi in modo simbolico e anche in modo tale da produrre un certo abbaglio sull’occhio e suscitare con mille colori un unico colore.”

In questo passaggio molto complesso del documentario sviluppa il fenomeno della sinestesia, cioè la capacità di percepire più di un senso corporeo come risultato di un unico stimolo. Per lui, ogni suono musicale ha un colore specifico. Messiaen evocò questa convinzione durante tutta la sua carriera, ben sapendo che la grande maggioranza dei suoi ascoltatori non era in grado di sentirla.

Elabora questo tema in dettaglio nel settimo volume del suo “Traité de Rythme, de Couleur et d’Ornithologie”, pubblicato postumo nel 2005. Su YouTube c’è un frammento di una delle sue lezioni al Conservatorio in cui associa accordi del Pelléas et Mélisande di Debussy a colori specifici.

È probabile che Schaeffer abbia scelto l’austerità monocromatica a causa dell’impossibilità tecnica di rendere adeguatamente i colori con l’attrezzatura cinematografica disponibile all’epoca. Filmare a colori era un’opzione artistica molto costosa e richiedeva un’illuminazione molto più sofisticata ed estesa, impraticabile in una cattedrale.

Il film in bianco e nero fa emergere l’idea del potere, della morte, della paura, ma non ha niente a che vedere con l’illuminazione celeste a cui Messiaen si riferisce nella sua opera. Le immagini austere create dalla ripresa dei pilastri, delle volte e dei contrafforti evocano piuttosto il tema delle conseguenze della guerra, l’abisso dell’oscurità. La sofferenza umana è tradotta da una sequenza all’esterno della cattedrale, esplorando soprattutto i volti in primo piano, danneggiati dal passare del tempo, di alcune statue centenarie.

Alcune osservazioni tecniche: per le riprese architettoniche il documentario utilizza telecamere fisse; per buona parte delle riprese di prova, vengono utilizzate telecamere portatili, una sfida tecnica e artistica considerevole data l’attrezzatura disponibile all’epoca, molto prima dell’avvento degli stabilizzatori per telecamere. Il montaggio, fatto da Juliette Bort, lascia a desiderare: alcune sequenze musicali sono fuori sincrono con la sfilata di facce di pietra. È solo verso la fine del documentario che il montaggio trova il suo ritmo.

Il finale, scritto come “un coro di mille voci”, suonato solo dall’orchestra, è associato, grazie a un primo piano della nicchia, alla Vergine rappresentata al centro del rosone nord. Invece di unire la musica potente con l’insieme della vetrata, le ultime immagini ritornano all’orchestra e al gruppo di percussioni di Strasburgo per atterrare infine sul direttore d’orchestra, Serge Baudo, l’esecutore terreno di un’opera profondamente spirituale.

Un documentario da non perdere.