Stiamo vivendo in un tempo molto particolare. È da più di un anno che conviviamo con la pandemia del Covid-19 e le conseguenze sul mondo del lavoro cominciano a farsi sentire sul serio. I regolamenti temporanei, messi in pratica nell’ottica di una durata predefinita e breve, vanno pensati su un lasso di tempo ben più esteso. Qui si parla soltanto del lavoro in ufficio: qualsiasi lavoro manuale non può essere cambiato in smart working, né in fabbrica, né in negozio, e nemmeno in ospedale. La pandemia, dai primi mesi, agisce come un catalizzatore nei cambiamenti delle condizioni del lavoro in ufficio. La rivoluzione digitale, accelerata da circa dieci anni, aveva già trasformato i cicli di lavoro, i processi lavorativi e le abitudini; lo smart working è l’ultima svolta di questo stravolgimento.

Il mondo privato e quello del lavoro si intrecciano da decenni: all’inizio solo per i dirigenti, sempre accessibili, prima mediante gli autotelefoni, poi i radiotelefoni, dagli anni Novanta attraverso i cellulari, poi da qualche anno tramite gli smartphone. Al più tardi dagli anni 2000 il cellulare è alla portata di una grande parte della popolazione, indipendentemente dal reddito. Nel mondo del lavoro l’arrivo degli smartphone è stato un po’ più lento. Molte imprese non volevano rischiare che i loro dipendenti usassero lo smartphone prevalentemente per fini privati, specialmente per fare chiamate costosissime da o verso l’estero. La privacy, cioè la protezione dei dati dell’impresa, soprattutto per le email, era un’altra difficoltà da superare.

Ora qui il Covid-19 mette in evidenza gli squilibri sociali. Anche con uno stipendio adeguato spesso un nucleo familiare non è in grado di usufruire di un appartamento o una casa abbastanza grande per permettere a tutti i suoi membri di svolgere sia lo smart working che la didattica a distanza. Ci sono casi rari per cui non si pone la questione: i dipendenti che vivono da soli o quelli che sono in coppia, ma con un’abitazione spaziosa; tuttavia per una parte considerevole le circostanze non lo permettono facilmente.

Sui social, le battute sulle conseguenze dello smart working si moltiplicano: la conferenza Zoom rovinata dai figli maleducati, o, in certe occasioni dagli animali domestici incustoditi; il progetto per il lavoro pieno di errori a causa delle distrazioni (in)aspettate. Indimenticabile la riunione Zoom del Handforth Parish Council, il minuscolo consiglio ammnistrativo a sud di Manchester (Regno Unito) per la sua litigata tra partecipanti, disciplinata dalla conduttrice con l’aiuto della sala d’attesa. Una perfetta pubblicità per questa piattaforma, catapultata quasi dal nulla nel conscio pubblico all’inizio della pandemia. Messo da parte casi come quello del giornalista statunitense il quale si vede licenziato senza preavviso per causa di molestie sessuali mentre stava facendo una conferenza Zoom le occasioni di una comicità involontaria prevalgono.

Queste sono le condizioni dello smart working nei tempi di una pandemia in cui, per forza, una grande parte degli impiegati sono costretti a fare il telelavoro. Le aziende che erano scettiche davanti allo smart working prima della pandemia lo permettono più facilmente adesso. I dirigenti finalmente si rendono conto che con i mezzi digitali si può controllare un impiegato, a volte anche in modo più efficiente di prima. Senza la volontà e l’impegno reciproci di tutti i partecipanti una riunione online non può portare risultati positivi.

La pandemia però, mette in evidenza un fatto: una tecnologia qualsiasi non è capace di sostituire il contatto personale e la creatività che emerge. La pausa caffè, tanto ridicolizzata da alcuni dirigenti, gli incontri per caso nel corridoio dell’impresa, le chiacchere dopo lavoro, per farla breve la rete informale non potrà mai essere soppiantata dallo smart working. Gli incontri informali organizzati sulle piattaforme digitali non funzionano, almeno da tre partecipanti in su. Lo smart working, che deve essere regolato in una legislazione più adatta agli sviluppi tecnologici e sociali manterrà la sua importanza, probabilmente in un mondo molto più flessibile in cui la sfera privata e la sfera lavorativa si amalgamano sempre di più.