L’effetto di più di un anno di isolamento sociale imposto da una pandemia che influenza tutti, invita quasi a una riflessione in quanto i social condizionano la nostra vita di ogni giorno, a breve, ma anche a lungo termine. Ci sono nuove reti sociali: Clubhouse dal 2020, la più recente, in concorrenza a Twitter Spaces; l’uso di quelle già esistenti, Facebook [FB], Instagram, Twitter e TikTok si sta differenziando. FB, ora principalmente usato da utenti adulti, mantiene la sua posizione, cercando di consolidarla con l’acquisto di servizi messenger (WhatsApp) e di reti di successo (Instagram).

C’è l’argomento della sociologia contemporanea del cosiddetto ‘capitale sociale’, cioè l’insieme di contatti e legami di persone nel loro contesto di socializzazione: famiglia, amici, lavoro. Il principio strutturale di FB in particolare sembra permettere la riflessione di una rete sociale, basata sullo stato di ‘amicizie’, permettendo agli utenti di dare accesso agli ‘amici’ al loro spazio personale, cioè alle informazioni non pubbliche. La scelta di Mark Zuckerberg, fatta già con i precursori della piattaforma, di chiamare i contatti ‘amicizie’ invece di utilizzare un termine neutro come ‘collegamento’ è una strategia furba che induce a pensare che ci sia una familiarità nei collegamenti che forse non c’è. Ci sono quelli che si lamentano che sono stati contattati da persone con cui l’amicizia non esiste più da molto tempo; si chiedono il perché e enfatizzano che non hanno la minima intenzione di rispondere e ancora meno di accettare la richiesta.

Li capisco benissimo: il rischio di essere contattati da persone non gradite c’è, soprattutto se le impostazioni FB sono messe allo stato ‘pubblico’; ogni commento, che per definizione imposta da FB è pubblico, può mettere in rilievo l’esistenza di un account che in realtà era stato ritenuto privato, vale a dire ristretto ai veri amici di una persona, o al cerchio definito da essa. Non accettare un invito, soprattutto se si lavora in un ambiente di relazioni pubbliche, potrebbe rapidamente essere considerato come un’offesa, o, peggio, un rifiuto di voler far bene il proprio lavoro. In più, c’è il rischio dei cambiamenti sconosciuti delle impostazioni fatte da FB: per ogni post c’è il rischio di essere reso pubblico, e di essere ricercabile su Google. Infatti FB invita regolarmente a controllare se i settings sono ancora come li ‘vuole’ l’aderente.

D’altra parte, non c’è nessun obbligo di pubblicare qualsiasi informazione o contenuto dettagliati, anzi, c’è la possibilità di bloccare agli altri l’utilizzo della funzione messenger, a condizione che venga controllata regolarmente. Così FB diventa una piattaforma per informarsi, per avere accesso a contenuti se non bloccati dalle impostazioni del geoblocking o saltuariamente di paywall. Capisco anche coloro che rimangono categoricamente contrari a FB, per l’assenza di protezione dei dati, per la sua reputazione negativa come piattaforma per commenti stupidi, ma anche dell’estrema destra e per impedire lo stalking. Si possono tuttavia scoprirvi una moltitudine di informazioni: conferenze, dichiarazioni politiche, attività culturali, in alcuni casi pubblicate soltanto su FB che sostituisce la comunicazione sui siti web spesso non attualizzati.

In conclusione con un uso consapevole e una valutazione dei rischi si può utilizzare questa piattaforma, specialmente in questi tempi di isolamento sociale, per mantenere vivi i contatti desiderati.